MASTRI CORDAI

“Mastri funaj, faccenda curïosa la vostra: andar così sempre all’indietro, con quella fune che da la callosa mano vi nasce; e non mutar mai metro”, scriveva Luigi Pirandello, nel 1890, nella sua poesia dal titolo “La fune”. Mentre Nietzche aveva scritto, giusto qualche anno prima: “In verità, non voglio assomigliare ai funai: essi tirano il loro filo, l’allungano e vanno sempre arretrando”.

Chissà quante volte, anche noi, ci siamo sentiti dire “vai a rretu comu li zzucari” (procedi all’indietro come i cordai).

Il cordaio, volgarmente detto cordaro, funajo, ma anche zzucaro dalle nostre parti, altro non è che il fabbricatore di corde ritorte (ben diverse dalle moderne cime trecciate). La sua reputazione e l’apprezzamento riconosciuto a tale professione non è sempre stata delle migliori in tutte le epoche storiche.

Nelle grandi corderie, nate principalmente nelle vicinanze dei grandi porti per poter garantire l’approvvigionamento di cordami alle navi mercantili e militari, soprattutto durante i periodi di guerra, il cordaio, “… è una delle professioni meno praticate di tutti i tempi. Tale attività era infatti considerata disgustosa e poco rispettabile perché svolta in ambienti limitati, pieni di polvere e di sostanze nocive. Le corderie erano considerate l’anticamera dell’inferno. Stanzoni lunghi e stretti, umidi, con poco aria e poca luce. Ambienti pieni dei vapori della zopissa, una miscela di bitumi e peci, minio, pelo di vacca, zolfo e quant’altro per impermeabilizzare i cavi. Un continuo andirivieni di garzoni e muli che andavano avanti e indietro dagli aspi trasportando i pesanti legnoli per la commettitura dei grossi cavi. Il rumore assordante degli aspi che giravano per torcere le fibre” (tratto da Nodi, intrichi comprensibili, Monica Martella e Andrea Maggiori, Marcovalerio Editore, 2017).

In una dimensione più locale e nei piccoli porti, il cordaio svolgeva la propria attività principalmente all’aperto, sulle strade pubbliche o comunque in spazi ampi che permettevano la realizzazione di cordami di lunghezza soddisfacente e utile.

Il cordaio, oggi figura quasi completamente scomparsa era un abilissimo artigiano, che intrecciava, arrotolandole su sé stesse prima e poi tra loro, piccole cordicelle a loro volta ottenute da sottili filacce vegetali.

Una grande ruota, solitamente in ferro era azionata attraverso una manovella da un giovanissimo garzone, ben attento a mantenere costante la velocità di rotazione o a non mollare la presa per non compromettere l’esito di tutto il lavoro. Ora, lasciamo a quei giovani garzoni, il compito di valutare se era più doloroso il colpo sulle mani dato dalla manovella che, libera dalla presa, invertiva la rotazione (riflessi pronti e scattanti potevano anche permettere di schivare il colpo!) o il ceffone del cordaio, che al massimo il povero ragazzo riusciva a schivare al momento, ma che poteva arrivare, ben assestato, anche nei giorni successivi.

Il cordaio agganciava le fibre ai ganci della ruota e poi dava il via al suo aiutante perché iniziasse a far girare la macchina.

Avviata la rotazione, il cordaio procedeva all’indietro accompagnando le filacce, raccolte in un grembiule legato in vita, facendo attenzione che le fibre richiamate dalla commettitura fossero sempre in quantità tale da non creare grovigli e ispessimenti del diametro. Le fibre filavano tra le mani del cordaio ritorcendosi e creando, come per incanto, una sottile cordicella ben calibrata.

In base all’uso a cui erano destinate, le tre cordicelle potevano essere nuovamente ritorte tra loro, questa volta con una rotazione contraria alla precedente per ottenere una cima di diametro maggiore. Armato della sua inseparabile pigna” (un cono in legno con un manico e un numero di scanalature pari al numero di cordicelle che dovevano essere unite insieme), il cordaio ripeteva la medesima operazione per commettere (la commettitura è il processo di torsione, a mano o a macchina, necessario per formare una corda di qualsiasi dimensione) le tre corde realizzate. La pigna scivolava lungo tutta la lunghezza tenendo separate le tre corde, ben sistemate nelle scanalature e allo stesso tempo permettendo la loro commettitura.

Com’è ovvio, in un territorio costiero che è mare e terra allo stesso tempo, la figura del cordaio era indispensabile sia nell’attività marinara, per la realizzazione delle cime utili per le reti e per le altre attrezzature da pesca, ma anche nelle attività agricole. In particolare, la figura del cordaio era legata e alle volte coincidente con quella di un altro abile artigiano che intrecciava le cordicelle ottenute, solitamente in fibra di cocco, per la realizzazione dei fiscoli, importante elemento utilizzato come filtro nella produzione dell’olio d’oliva.

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