“Mamma li turchi” o “Mamma li tricasini”?

Alle volte, la storia non è esattamente come ci viene raccontata… ci sono dettagli, piccoli elementi e avvenimenti, all’apparenza insignificanti, che possono conferire alla storia un significato ben diverso.

Nei secoli passati, le invasioni e gli attacchi da parte dei saraceni erano una pesante e costante minaccia per tutta la penisola salentina… e il porto di Tricase non ne era sicuramente esente.

Nel libro Il Porto di Tricase: corsari, pirati, pescatori, mercanti, militari e villeggianti fra il XV e XX secolo (scritto da Daniela De Lorentiis e Pierpaolo Panico ed edito da Magna Grecia Mare editore), la storia di tali invasioni assume, relativamente ad alcuni episodi, una connotazione ben diversa.

I due autori, nell’inquadrare l’importanza storica del piccolo porto di Tricase e il suo ruolo nell’ambito dei traffici commerciali, scrivono, con inchiostro nero su pagine bianche:

“Situato in una zona desolata tra Castro e Santa Maria di Leuca, nella fitta vegetazione della costa roc­ciosa e frastagliata del basso Adriatico, nel XV e XVI secolo il porto di Tri­case rappresentava il maggior polo di attrazione commerciale dell’estrema parte meridionale della provincia di Terra d’Otranto, il cosiddetto «Capo di Leuca». Il piccolo specchio d’acqua, dove ormeggiavano le imbarcazioni, si trovava a ridosso di due spazi arenosi creatisi all’imbocco di un canalone ispido e roccioso incassato fra le alte pareti di una serra, al di là della quale, a circa 2 miglia di distanza si trovava il centro abitato di Tricase. Luogo di frontiera selvaggio e incon­taminato, costantemente esposto alle invasioni dei turchi, questo piccolo scalo era completamente isolato; adia­cente alla zona di ormeggio si ergeva un piccolo fabbricato rurale adibito alla riscossione dello jus scalagij da parte degli esattori baronali. Nel Cin­quecento venne costruita dalla muni­cipalità tricasina una torre di guardia per riuscire a contenere le incursioni dei barbareschi e rendere più sicuro ed affidabile il commercio marittimo”.

La rilevanza della piccola insenatura naturale derivava dalla presenza di numerose grotte naturali e scavate dall’uomo che offrivano un “comodo” rifugio agli equipaggi delle navi di piccolo cabotaggio. Prima ancora però, il Porto di Tricase era ed è tutt’ora ricco di polle e risorgive di acqua dolce, bene preziosissimo per i naviganti.

Piri Reis il famoso cartografo ottomano e ammiraglio del Sultano Solimano il Magnifico, nel primo ventennio del ‘500, citando all’interno del suo portolano (Kitabi Bahriye – Il libro del mare) il Porto di Tricase, lo descrive come un qargador, l’unico luogo tra Capo d’Otranto e il Capo Santa Maria di Leuca in cui si potevano caricare le navi. Questa sua cartografia aveva contribuito ad estendere la fama della piccola insenatura.

Ora, lungi da noi l’idea di dare a Piri Reis, anche indirettamente, la colpa delle invasioni e degli attacchi subiti dai saraceni ma…

“Il 2 giugno 1570, la torre, ubicata sull’al­tura laterale dell’ingresso dell’insena­tura naturale, fu presa d’assalto dai turchi sbarcati nella rada con otto imbarcazioni. Il gruppo di predoni occupò la fortezza, uccidendo i due soldati di guardia, incendiò il magaz­zino, s’impadronì delle munizioni e si appropriò di cento botti di olio che gli abitanti di Tricase e dei paesi limi­trofi avrebbero dovuto trasportare a Otranto. Non era la prima volta che il porto di Tricase veniva conquistato dai legni battenti bandiera della Mez­zaluna.

Nel mese di luglio del 1537, quando la flotta turca, comandata da Khair-ar-Din (noto con lo pseudonimo Ariadeno Barbarossa), assalì le città di Castro e Ugento, un manipolo di circa duecento uomini sbarcò nel porto di Tricase saccheggiando i borghi del paese e dando alle fiamme il convento dell’ordine di San Domenico intito­lato ai Santi Pietro e Paolo, per poi essere respinto da una compagnia di fanti organizzata dal governatore pro­vinciale Ferrante Loffredo e coman­data dal leccese Spinetto Maremonte. Dieci anni più tardi, il porto e il ter­ritorio di Tricase subirono un’altra incursione di predoni turchi che pro­vocò nuovi danni alla popolazione residente.

A causa del pericolo turco, le navi preferivano stanziare nel porto di Tricase solo per il tempo strettamente necessario a effettuare le operazioni di carico e scarico delle merci per poi proseguire rapidamente la naviga­zione in acque più tranquille”.

Ed è qui, che continuando a leggere il libro sul Porto di Tricase, la storia comincia a prendere una sua propria piega e a darci una visione poco raccontata di quanto avveniva realmente in quel particolare momento storico:

“In questo tratto di mare, Battista Custo di Genova, Antioco Sardo di Tra­pani, entrambi padroni di una fregata di sette banchi e Teodoro Gallarati di Milano, proprietario di un brigantino adeguatamente equipaggiato per le azioni belliche, si appostavano giorno e notte con le proprie imbarcazioni nel porto di Tricase aspettando le navi turche per depredarle di ogni bene e per catturare i membri dell’equipaggio da ridurre in servitù o in schiavitù per le famiglie nobili e notabili.

Il 16 dicembre 1583, i tre corsari, ormeggiate le proprie imbarcazioni nei pressi delle due piccole spiagge che delimitavano da ponente l’insenatura naturale, risalirono l’impervia strada che portava al centro abitato di Tricase per raggiungere l’abitazione del notaio Lucio Micetti. I tre uomini manifesta­rono al pubblico ufficiale, l’intenzione di fondare un’associazione con lo scopo di aiutarsi reciprocamente durante gli arrembaggi ai natanti turchi sorpresi a navigare le acque antistanti al litorale tricasino. I motivi della fondazione dell’associazione criminosa erano da ricercare nell’avversione ideologica e politica nutrita da Teodoro Gallarati, «Cavaliere di Santo Stefano», nei con­fronti dei turchi in quanto sovvertitori dell’ordine cristiano costituito.

Il sentimento di ostilità da parte degli altri due corsari nei confronti del nemico musulmano era alimentato invece da interessi di pura matrice economica. Battista Custo e Antioco Sardo dichiararono al notaio Lucio Micetti l’intenzione di aiutarsi vicen­devolmente durante gli abbordaggi ai legni turchi e di dividersi il ricco bot­tino in un luogo completamente disa­bitato del litorale adriatico, lontano da occhi indiscreti. Oltre all’accordo sulla spartizione della refurtiva, i due uomini ritennero opportuno for­malizzare giuridicamente anche le modalità di aggressione contempora­nea di più vascelli. Mentre uno di loro avesse scortato «in terra de’ Cristiani» l’imbarcazione sequestrata, l’altro avrebbe dovuto assalire il successivo natante sorpreso a navigare nel canale d’Otranto.

L’alleanza tra corsari contemplava una serie di deliberazioni normative atte a tutelare giuridicamente le parti contraenti. Antioco Sardo ricevette 14 ducati da Teodoro Gallarati in cambio della metà della sua parte di bottino sottratto alle navi nemiche e, a sua volta, il «Cavaliere di Santo Stefano» s’obbligò a consegnare 1/11 della sua parte di preda al giovane Nicola Greco di Loggiante, arruolato sulla nave di Antioco Sardo nella veste di interprete di greco e turco.

L’azione difensiva del porto da parte della società corsara trovò il pieno appoggio della municipalità di Tricase costantemente impegnata a garan­tire sbocchi adeguati alla produzione locale e ad inserire l’economia del ter­ritorio in un mercato dinamico attra­verso il porto marittimo. Del resto, per quanto impervio e pericoloso, ogni anno il porto di Tricase dava acco­glienza a un numero considerevole di imbarcazioni che, navigando sulle rotte transadriatiche del grande e pic­colo cabotaggio, trasportavano merci di ogni genere”.

Alla fine di questa storia, che meritava sicuramente di essere raccontata, viene spontaneo porsi una domanda: ma se a Tricase si urlava “mamma li turchi” all’avvistamento delle loro navi, come non pensare che sulle navi battenti bandiera della mezza luna non si urlasse “mamma li tricasini” vedendoli uscire dall’imboccatura del porto?

(La foto in allegato ritrae la costa tra Otranto e S. Maria di Leuca così come illustrata ne “Il libro del mare” di Piri Reis. Tra il Capo di Leuca e la Torre del Serpente si trova la Torre del Porto di Tricase con il suo borgo e, ancora più in alto, il borgo di Alessano. Dal 1810 la Torre del Porto di Tricase non esiste più, ma questa è un’altra storia).

© 2020 Associazione Magna Grecia Mare P.IVA: IT03755890757 • Cookie & Privacy Policy