L’Isola dei sogni perduti

Ci sono isole e isole, come ci sono sogni e sogni.

Quella che Giovanni Bellisario descrive nel suo libro è L’isola dei sogni perduti, un’isoletta greca, non segnata sulle mappe, in cui il protagonista della storia, un appassionato velista, decide di fermarsi a riparare la sua barca, danneggiata da una burrasca. A spingerlo a fermarsi in quell’isola sperduta è anche l’atmosfera misteriosa e quasi magica del luogo.

Ed è proprio qui che si imbatte in vari personaggi e, in particolare Ernest Hemingway, Pablo Picasso, Louis Armstrong e Albert Einstein, che vivono sull’isola… ma che in realtà, dovrebbero però essere morti già da molti anni…

Con loro, in quell’atmosfera irreale, instaura un rapporto di amicizia.

Nel passo che segue Giovanni ha pensato di offrirci, per la rubrica Capitano chi legge, un estratto del suo libro ed esattamente un momento del racconto in cui il protagonista, riceve Hemingway sulla sua barca.

Buona lettura.

 

Il vento era aumentato e la temperatura si era abbassata, la pioggia arrivava a spruzzi e decisi di scendere in cabina.
Sfilai la cerata e mi distesi in cuccetta, prendendo un libro.
Tenevo sempre una piccola biblioteca, in barca. In genere, oltre ai portolani e ai testi nautici, mi accompagnavano alcuni romanzi di genere marinaresco, che sceglievo di volta in volta, prima d’intraprendere un viaggio.
Il libro che avevo ora in mano era un romanzo di William Golding.
Ne lessi alcune pagine, poi, lentamente, il movimento della barca ed il tempo piovoso mi appesantirono le palpebre e piombai in quel genere di sonno profondo che pare durare a lungo ed invece, quando improvvisamente ti risvegli e lanci un’occhiata all’orologio, ti accorgi che ti ha allontanato dalla realtà solo per pochi minuti.
Vidi il volto di Nora che mi sorrideva, i lunghi capelli bagnati.
Indossava la mia cerata gialla e sotto era nuda …
Due colpi secchi sulla tuga mi risvegliarono, impedendomi di sapere come sarebbe finito quel sogno.
“Ehi, ragazzo! Spero di non disturbarti!”
La voce di Ernest mi riportò definitivamente nel mondo reale, sempre che quello lo fosse.
Entrò piegandosi a fatica nella cabina.
Indossava un vecchio impermeabile stretto in vita da una cinta ed in mano aveva una bottiglia.
“Accidenti, stavi riposando, mi dispiace ragazzo!”
“No… no… stavo leggendo, con questo tempo…”
“Già un tempo del cazzo davvero. Ho trovato una bottiglia di ottimo scotch. I liquori greci non sono male, ma un buon whisky, in queste giornate… Allora mi son detto che fa male bere da soli e che lo scotch acquista un diverso sapore in compagnia di un amico”
Accompagnò l’affermazione con un mezzo sorriso.
Il fatto che avesse deciso di bere in mia compagnia e che mi avesse definito “un amico” mi causò un’emozione così forte come mai avevo provato.
“È un po’ stretto qui, mi spiace” risposi alzandomi dalla cuccetta ed avvicinandomi al tavolo da carteggio
“Ed io sono un po’ troppo corpulento” replicò sorridendo” potremmo gustarcelo là fuori, la pioggia è leggera ed il vento s’è placato” aggiunse.
Annuii, seguendolo nel pozzetto di poppa dopo aver afferrato al volo due bicchieri.
Effettivamente le folate di vento erano divenute più rare e brevi e la pioggia talmente rada da non infastidirci.
Ernest riempì abbondantemente i bicchieri di caldo liquore ambrato
“Alla vita!” brindò alzando il suo
“Alla vita”, risposi.
Ero letteralmente catturato dal fascino di quell’uomo.
Dietro all’aria da duro si celava una personalità sensibile ed oltremodo generosa, non priva di fragilità.
Coglievo che, per lui, l’essenza di quella vita alla quale aveva appena brindato, consisteva in uno scontro perenne tra bene e male, dove il bene si concretizzava nella lealtà, nel coraggio, nella generosità ed il male nell’ipocrisia, nella vigliaccheria, nella falsità.
Ernest era una sorta di personaggio eroe ispirato ai suoi stessi racconti che, a loro volta, apparivano intrisi del suo modo d’essere.
La sua scontrosità iniziale lasciava rapidamente posto ad un modo di vivere l’amicizia che era totale, fondato sulla lealtà e sulla fiducia, e che non perdonava le disillusioni.
Tirò fuori da una tasca due sigari cubani e me ne porse uno, rifiutai garbatamente ed egli mi apostrofò dicendomi che avevo ancora molto da imparare dalla vita.
Osservandolo mentre si accendeva il sigaro pensai a quanto quell’uomo avesse chiesto alla sua di vita, a come l’avesse sempre vissuta sul filo del rasoio, rifiutando i compromessi, ricercando, non di rado, quel combattimento, in tutte le sue forme, che lo faceva sentire forte e vivo.
Avevo letto qualcosa sulla sua esistenza, divisa tra Stati Uniti, Italia, Spagna, Cuba, Africa; tra guerre mondiali e guerre civili, tra combattimenti letterari e scontri con una critica impietosa, tra safari africani e battute di pesca titaniche, tra successi, donne, premio Nobel, sino all’ultimo atto, all’uscita di scena…
Notai che si palpava il ginocchio destro non nascondendo una smorfia di dolore.
“Problemi?” chiesi sperando di non essere indiscreto
“No, solo una vecchia ferita di guerra, in Italia, a Fossalta nel 1918. Ogni tanto mi fa male, con questo tempo…” s’interruppe con una sonora risata.
Notò la mia espressione perplessa e riprese
“Stavo ripensando che tutto il mio fisico è un campo di battaglia: sono più le parti a pezzi che quelle intere.
Era come se una strana sorte mi perseguitasse, o forse è solo perché a volte ho davvero voluto strafare ed altre sono stato proprio un coglione!” rise di nuovo
“Da piccolo caddi e m’infilai un ramo nelle tonsille: pensa! Non in un occhio, nelle tonsille!
In Italia, nell’estate del 1918, fui centrato da più di 230 schegge di mortaio in tutto il corpo e mi ritrovai con il ginocchio spappolato; a bordo della Pilar caddi e per poco non vi lasciai la pelle; in Africa, poi, precipitai con un aereo e mi spappolai fegato, vertebre, un rene e non ricordo cos’altro e quando salii a bordo di un altro aereo che doveva portarmi in un luogo sicuro per farmi curare, questo prese fuoco al momento del decollo e, siccome non riuscivo a scappar fuori uscendo dal finestrino come avevano fatto gli altri, perché ero troppo grosso, aprii un portello prima a colpi di spalla e, dopo essermela irrimediabilmente slogata, a colpi di testa – non si può dire che non l’abbia dura – fracassandomi anche il cranio.
Ma la volta che superai chiunque altro in coglionaggine, oggi lo ammetto, ma allora ci restai davvero male per la figura da cretino, fu durante una battuta di pesca.
Accidenti, avevo arpionato uno squalo, ma il bastardo si contorceva come un ossesso.
Allora prendo un revolver per sparargli in testa e farlo secco, ma quel figlio di puttana si dimena a tal punto che gli sparo due volte e tutte e due le volte mi centro le gambe. Merda! Che figura del cazzo!”
Si tolse il sigaro dalla bocca e sputò in mare.
“Ho sempre vissuto la mia vita nella maniera più piena possibile.
Ho pensato che io, in fondo, non ero che uno dei tanti interpreti di passaggio in questa vita, come tanti altri e, finita la mia interpretazione, sono uscito di scena.
Ho sempre creduto che un uomo abbia pochi reali valori ai quali rifarsi: la lealtà, il coraggio, il rifiuto della falsità, del compromesso ipocrita, l’odio per la vigliaccheria.
Vedi, la cosa più certa ed innegabile dell’universo è la morte, ed è anche la più semplice.
Non c’è nulla che sia così facile come morire.
L’ho imparato vagando per le trincee in Italia, sul fronte spagnolo, all’indomani dello sbarco in Normandia, durante un safari.
La morte è sempre lì, unica e vera certezza, eterna “puta “.
Faccio un sogno ricorrente: sogno dei leoni stesi al sole su un’immensa spiaggia dorata. Chissà che cosa cazzo significa…”
C’era un velo di amarezza nelle sue parole
“Qui mi sento libero, è come se mi trovassi in un palco privilegiato ad osservare il mondo. Ho ripreso a scrivere”
Istintivamente pensai a “Il vecchio e il mare” che gli aveva fatto vincere il premio Nobel.
Lesse nei miei pensieri.
“Con quello ho vinto il Nobel probabilmente perché non conteneva nessuna parolaccia!” rise ancora
“Sto scrivendo qualcosa su un uomo che tenta di cambiare vita e di lasciarsi tutto indietro, e cerca un luogo ideale, ed un amore ideale.
Passa attraverso diverse peripezie, ma resiste ostinatamente, salvo accorgersi che raramente vince ciò che è giusto e che, spesso, per trovare ciò che ci serve non è necessario peregrinare alla ricerca di un luogo ideale. In ognuno di noi ci sono luoghi ideali…”
Provai un senso d’imbarazzo, come se, attraverso l’idea del racconto, intendesse lanciarmi un messaggio.
Colse il mio stato d’animo e allungò la bottiglia per riempirmi nuovamente il bicchiere. Rifiutai garbatamente ancora una volta
“Davvero, hai ancora molto da imparare!” esclamò ridendo.

Ad occidente le nuvole avevano iniziato ad aprirsi ed il sole, ormai basso sulla linea dell’orizzonte, fece tardivamente il suo ingresso in quella giornata.
“Domani sarà sereno” dissi
“Già…domani…”

(da “L’Isola dei Sogni perduti” di Giovanni Bellisario, 2004-2015)

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